ACCOLTO DALLA CORTE DI CASSAZIONE CON ORDINANZA 11362/18 RICORSO DELL’INPGI IN MATERIA DI INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA FALLIMENTARE.

Con la pronuncia in parola la Suprema Corte, pronunciandosi in merito alla interpretazione della normativa fallimentare in caso di pendenza di contenzioso tra creditore e società fallita, ha ritenuto manifestamente fondato il ricorso dell’Istituto decidendo con Ordinanza in Camera di Consiglio e statuendo due principi fondamentali in materia.

Il contenzioso ha avuto origine dall’esclusione dell’Istituto in sede di ammissione dal Giudice Delegato , e nella successiva fase di opposizione dal Tribunale di Milano ,  di un proprio credito ( per mancato pagamento di contributi assicurativi obbligatori, previdenziali ed assistenziali )  al passivo di una azienda editoriale, sebbene  la domanda fosse stata legittimamente e correttamente effettuata con riserva all’esito del  contenzioso pendente in secondo grado dinanzi la magistratura del Lavoro per l’accertamento in merito delle fattispecie giuridiche poste a base del credito medesimo.

Il  Tribunale di Milano  del tutto erroneamente aveva motivato la propria decisione ritenendo  da un lato che la domanda dell’Istituto non fosse stata supportata  da idoneo materiale probatorio ( presupponendo dunque implicitamente  il Giudicante la vis attrattiva del giudice fallimentare e che dunque il merito della questione dovesse essere trattato in tale sede  ), e, dall’altra argomentando in relazione al tenore letterale  dell’art. 96 della l.f. in base al quale  il beneficio dell’ammissione   con riserva deve  essere accordato al creditore  solo in presenza di titolo favorevole all’istante, e non invece come nella  fattispecie in parola in cui l’Istituto era stato soccombente in Primo Grado seppur a fronte poi  di un comprovato giudizio di Appello pendente al momento della presentazione della domanda.

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte,  in totale accoglimento delle argomentazioni difensive dell’Inpgi,  ha ritenuto pienamente  legittima l’ interpretazione giuridica estensiva operata dal medesimo dell’art. 96 L.F.  in merito   alla ammissibilità con riserva di un credito in pendenza di giudizio di apppello,  nonostante l’esistenza di un esito negativo in primo grado, ed ha dunque confermato l’importante principio – già oggetto di altre pronunce da parte del medesimo giudice di legittimità –  nel senso che per l’ammissione del credito con riserva ( di rilevante importanza ai fini della tutela del credito nel caso di effettuazione di riparti parziali di attivo nelle more del giudizio di merito di accertamento del credito stesso e che obblighi il curatore ad accantonare gli importi eventualmente ammessi con riserva) è sufficiente sia dimostrata la pendenza di un contenzioso tra la parte e la curatela fallimentare – contenzioso iniziato precedentemente al fallimento e poi riassunto nei confronti della procedura fallimentare –  non interessando dunque a tal fine l’eventuale esito negativo in primo grado per il creditore istante, essendo sufficiente invece ai fini della tutela del credito che si dimostri la pendenza di giudizio. La Suprema Corte ha infatti ritenuto sul punto : “ il Tribunale è incorso in un errore di diritto, perché è del tutto pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che l’art. 96, secondo comma, n. 3, legge fall., al pari del previgente art. 95, terzo comma, deve essere interpretato estensivamente, in modo da comprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte della sentenza di merito non passata in giudicato….”.

Altra questione affrontata dalla Suprema Corte  ed anche questa di estrema rilevanza per l’Istituto (  al fine della conservazione del Giudice naturale per l’accertamento di questioni in materia contributiva sorte prima del fallimento che presuppongano l’accertamento della natura del rapporto di lavoro posto alla base del credito ) , è  poi la conferma della competenza del Giudice del Lavoro in materia di accertamento del credito il cui contenzioso sia iniziato precedentemente alla dichiarazione di fallimento e   che non trovi pertanto nel fallimento stesso la sola motivazione economica della domanda, ma che necessiti evidentemente di esame nel merito dinanzi l’Autorità Giudiziaria competente per materia. Del tutto illegittima è dunque risultata la pronuncia del Tribunale anche in merito alla ritenuta carenza probatoria annessa alla domanda dell’Istituto che invece del tutto legittimamente  aveva depositato, ai fini dell’ammissione, esclusivamente i titoli giudiziari attestanti il contenzioso di merito già pendente tra le parti considerato che non era la sede fallimentare preposta a detto accertamento ma solo alla verifica della esistenza o meno ( in questo caso con riserva ) del credito vantato; conclude infatti il Giudice di Legittimità: “ …la cognizione di tali crediti rimane quindi di spettanza del giudice dell’appello, dovendo il creditore presentare proprio per questo la sua domanda di ammissione al passivo fallimentare con riserva”.

 

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