GIURISPRUDENZA/INPGI 1: L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE SUL DIVIETO DI CUMULO TRA PENSIONE E REDDITI NON INTACCA L’EFFICACIA DELLE DISPOSZIONI REGOLAMENTARI DELL’ISTITUTO

Con una recente pronuncia – ordinanza n. 21470 del 6 ottobre u.s. – la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione del cumulo pensione-reddito nell’ambito del regime dell’INPGI, disponendo la restituzione – in favore del pensionato che aveva promosso il giudizio – delle quote trattenute in applicazione dell’art. 15 del regolamento dell’Ente.

Il Collegio Giudicante ha richiamato la precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 19573 del 19 luglio 2019, che costituisce l’unico precedente orientato in tal senso in uno scenario complessivo nel quale la stessa Sezione Lavoro ha invece assunto – con le sentenze n. 8067/16 e n. 12671/16 e dando applicazione ai consolidati principi di diritto richiamati anche dalle Sezioni Unite – un orientamento che conferma l’efficacia e la legittimità delle norme in materia di cumulo tra pensione e reddito previste dal Regolamento dell’Istituto. Orientamento confermato tra l’altro in ben 5 sentenze della Corte di appello, passate già in giudicato.

Pertanto, l’Ordinanza della Cassazione in commento (n. 21470/20) spiega i suoi effetti limitatamente al caso concreto e quindi dalla stessa non deriva e non può derivarne alcun generalizzato effetto abrogativo o disapplicativo della relativa norma Regolamentare interna (art. 15), che continua quindi a trovare piena applicazione.

Entrando poi brevemente nel merito della questione, si osserva che la disciplina sul cumulo pensione-reddito dettata dal comma 1 dell’art. 44 della L. 289/2002 per gli enti pubblici prevede, al comma 7, che egli enti privatizzati, sulla base dell’autonomia loro attribuita del deceto legislativo 509/94, possano adottare regole diverse da quelle previste per la generalità degli enti pubblici. La ratio della norma, quindi, è quella di attuare correttamente i principi della privatizzazione che – nel disporre la trasformazione degli enti e delle casse di previdenza di professionisti in soggetti giuridici privati – riconosce ad essi il potere di disciplinare in autonomia la materia dei contributi e delle prestazioni, in funzione della preminente esigenza di garantire gli equilibri finanziari.

Coerentemente con detti principi l’art. 76 della L. 388/2000 ha imposto all’Inpgi un onere di “coordinamento” con la disciplina generale, e non di mera “conformazione”. Ne consegue – come chiarito da consolidata giurisprudenza – la “negazione d’una diretta e necessaria efficacia delle norme di previdenza sociale nell’ordinamento dell’Istituto e, sul piano positivo, l’affermazione d’un autonomo potere di adeguare le norme stesse alle interne esigenze, ed in particolare alle esigenze di bilancio” (così Cass. 11023/2006, seguita da numerose altre, tra cui Cass 12208/2011).

Anche la Giustizia Amministrativa ha riconosciuto la sussistenza di una autonomia regolamentare dell’INPGI nel disciplinare la materia previdenziale, tenuto conto del processo di “sostanziale delegificazione” post privatizzazione, alla stregua del quale la legittimità dei relativi provvedimenti deliberativi adottati dall’Inpgi va valutata tenendo conto della finalità dell’atto ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine. Condizione questa ampiamente rispettata anche nella delibera che ha disciplinato presso l’INPGI il regime di parziale cumulabilità della pensione con reddito da lavoro.

Per queste ragioni, tenuto conto dei precedenti orientamenti confermativi della fondatezza e legittimità della misura dettata dal richiamato art. 15 del regolamento, l’Istituto continuerà ad applicarne puntualmente la disciplina.

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