INPGI / FACCIAMO CHIAREZZA SUI CREDITI CONTRIBUTIVI

La Presidente, Marina Macelloni, replica alle inesattezze pubblicate dal “ilfattoquotidiano.it”

 


Al Direttore de Il Fatto Quotidiano.it

Dr. Peter Gomez

petergomez@ilfattoquotidiano.com

 

Gentile Direttore,

in merito al contenuto dell’articolo dal titolo “Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti viaggia verso il default. I vertici tentano di salvarlo con i pannicelli caldi” a firma di Fiorina Capozzi e Fabio Pavesi, apparso in data odierna nella sezione “Media & Regime” del quotidiano da lei diretto, mi corre l’obbligo di segnalarle la presenza di gravi inesattezze che, stravolgendo la realtà storica e documentata dei fatti, offrono una rappresentazione degli stessi fuorviante e gravemente lesiva dell’immagine e del decoro dell’Istituto stesso e dei suoi amministratori.

A prescindere infatti dai toni – a mio parere inappropriati, tenuto conto del profilo istituzionale dell’Ente – delle argomentazioni comunque sviluppate nell’ambito dell’esercizio del legittimo diritto di critica, in particolare  intendo richiamare la sua attenzione sulla ricostruzione della presunta composizione del “monte crediti” vantato dall’Inpgi nei confronti delle aziende contribuenti alla Gestione sostitutiva dell’Assicurazione Generale Obbligatoria, presso la quale, come è noto, sono assicurati i colleghi che esercitano la professione nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.

Nell’articolo si riporta un dato approssimativamente reale, vale a dire circa 270 milioni di euro di crediti contributivi “nominali”, cui corrispondono circa 220 milioni di euro effettivi in quanto 50 milioni di euro non ancora riscossi a fine esercizio 2020 sono stati in realtà, come avviene sempre a causa dei tempi tecnici, incassati nei mesi immediatamente successivi.

Non risponde affatto a verità, al contrario, la ricostruzione della ripartizione dei 220 milioni di crediti effettivi.

Nell’articolo, infatti, si legge: “Nel bilancio dell’Inpgi c’è tuttora un fondo svalutazione di un centinaio di milioni. Una cinquantina di milioni sono incassi che maturano l’anno successivo e un’altra cinquantina sono di aziende nel frattempo fallite. Restano però circa 170 milioni di crediti contributivi persi per strada che oggi servirebbero come oro per i bilanci scassati dell’istituto che ha un saldo negativo sulla sola gestione previdenziale di 200  l’anno”.

Si tratta di una affermazione errata, frutto evidentemente di un equivoco.

Tutti i 220 milioni euro, infatti, sono stati regolarmente attivati attraverso le azioni di recupero giudiziale (decreti ingiuntivi emessi dai Tribunali) che l’Istituto pone in essere nei confronti delle aziende debitrici.

La stragrande maggioranza di tali azioni legali trae origine  da accertamenti ispettivi posti in essere dai funzionari dell’Inpgi, che rilevano l’esistenza di irregolarità e omissioni nell’adempimento degli obblighi contributivi nei confronti dell’Istituto.

Nella quasi totalità  dei casi, infatti, i datori di lavoro esercitano legittimamente il proprio diritto di difesa, contestando gli addebiti dei verbali ispettivi e avviando, di conseguenza, un contraddittorio. Ciò determina quindi l’instaurazione di una serie di contenziosi legali tra l’INPGI e le aziende debitrici, la cui durata – visti i tempi della giustizia civile – si protrae per svariati anni.

Come tutti sanno e comprendono, questi crediti – fino all’esito del giudizio – non sono ancora giuridicamente incassabili.

Sebbene le statistiche relative agli esiti di tali contenziosi siano estremamente favorevoli all’Istituto, in quanto le pronunce positive per l’Ente si attestano su circa l’85% del volume complessivo, per ragioni prudenziali – legate anche al rischio che, nel corso del procedimento innanzi ai Tribunali, insorga uno stato di insolvenza dell’azienda debitrice – una quota significativa dei crediti in contenzioso viene accantonata, sul piano contabile, presso il relativo fondo di svalutazione.

Si tratta di una operazione prevista dalle norme in quanto improntata ad un criterio di responsabile cautela, che consente di ammortizzare gli effetti economici negativi derivanti da eventuali sentenze sfavorevoli ovvero conseguenti a eventuali fallimenti dei debitori.

Come risulta evidente, quindi, non esiste alcun credito “sparito”, tutto è regolarmente documentato e registrato nella contabilità dell’Ente e quanto riportato  nell’articolo in oggetto – che afferma l’esistenza di una presunta somma, quantificata in ben 170 milioni euro, di crediti “svaniti” nel nulla – costituisce un falso che ingenera  una evidente lesione dell’immagine dell’Istituto e configura un comportamento gravemente calunnioso, in quanto adombra la sussistenza, a carico dei suoi amministratori, di pesanti responsabilità di gestione del tutto inesistenti.

Sul punto, pertanto, ritengo doverosa una sua presa d’atto con relativa immediata rettifica, ai sensi dell’art. 8 della legge 47/1948.

In ogni caso, rispetto all’intero contenuto dell’articolo, un confronto preventivo  con l’Istituto  sarebbe stato auspicato perché avrebbe permesso l’acquisizione di utili elementi per approfondire le questioni di cui si voleva trattare.

Cordiali saluti.

Marina Macelloni

 


 

L’equivoco in cui è incorso l’organo di stampa, peraltro, sembra trarre fondamento in un’altra imprecisione contenuta nelle osservazioni manifestate dalla Corte dei Conti in sede di Relazione annuale sull’esercizio contabile 2017 dell’Istituto, in relazione alle quali l’INPGI aveva già replicato al fine di ristabilire con esattezza i termini della questione.

Si riportano, di seguito, gli elementi a suo tempo forniti al Magistrato estensore della predetta relazione, evidenziando che – ovviamente – gli importi cui si fa riferimento sono quelli relativi, come detto, al bilancio 2017.

L’origine dell’equivoco in cui è incorsa la Corte consiste nell’aver confrontato il dato del monte crediti complessivo riferito a tutte le annualità stratificate nel tempo – depurato di quelli riferiti alle ultime mensilità dell’anno, il cui versamento e contabilizzazione avviene notoriamente in ritardo a causa dei relativi tempi tecnici, e di quelli riferiti ad aziende fallite – con l’importo dei crediti per i quali, nel solo anno 2017, il Servizio Legale dell’Istituto ha avviato le procedure di recupero.

Tale raffronto ha fatto emergere uno scenario nel quale sembrava apparire che, a fronte di circa 178 milioni di euro di crediti, l’Ente si fosse attivato limitatamente a circa 8 milioni.

Sulla scorta di tale comparazione la Corte aveva quindi affermato che “dai dati esposti, si evince che i crediti esigibili verso aziende editoriali, al netto di quelli maturati negli ultimi periodi di paga del 2017 (circa 55 milioni), di quelli vantati nei confronti di ditte fallite (43 milioni) e dei crediti oggetto di rateizzazione (2,982 milioni), raggiungono l’importo di 178,3 milioni circa. Rispetto alla considerevole entità dei crediti in sofferenza, appare inadeguata l’azione di recupero avviata nel 2017 che, come si è detto, ha interessato un limitato importo dei medesimi (8 milioni). La stessa riduzione dello stock di crediti verso  aziende editoriali rispetto all’anno precedente (-21,135 milioni) è da imputare a una massiccia opera di cancellazione, che ha interessato crediti per 38,833 milioni, più che all’azione di recupero svolta dalla Fondazione. Da qui l’invito a definire ed attuare con ogni tempestività un piano strutturato di recupero dei crediti in sofferenza, che – se necessario – contempli anche il ricorso alla riscossione coattiva, non mancando di assicurare il monitoraggio e il controllo delle singole iniziative avviate”.

A tale riguardo questo Istituto – nello spirito collaborativo volto a fornire ogni utile elemento atto ad inquadrare la fattispecie nel modo più completo e aderente alla reale situazione in essere – ha fatto presente che l’ammontare dei crediti attivati dai legali dell’Ente nel corso dell’anno 2017 (circa 8 milioni) non esauriva affatto il volume dei crediti per i quali risultavano incardinate le procedure di recupero coattivo, ma si aggiungeva a tutte quelle già avviate negli anni precedenti, fino a costituire un “monte crediti” già attivati per il recupero coattivo che ammontava praticamente all’intera cifra maturata, al netto delle somme riferite agli ultimi periodi contributivi – comunque oggetto di diffida amministrativa – o che erano state oggetto di dilazione rateizzata nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi e dai regolamenti vigenti.

Sulla base delle procedure interne dell’Istituto, infatti, tutti i crediti contributivi accertati nei confronti delle aziende che restino insoluti all’esito delle diffide amministrative o dei verbali ispettivi, vengono trasmessi al Servizio legale per il relativo recupero coattivo, che avviene avvalendosi degli strumenti monitori offerti dall’ordinamento, mediante attivazione della procedura di ingiunzione di cui agli artt. 633 e ss del Codice di procedura civile.

Sotto questo profilo, pertanto, era stato fornito un quadro della ripartizione dei crediti contributivi che evidenziava la natura e lo stato dei medesimi, sottolineando che una quota significativa del volume di crediti contributivi non ancora riscossi (all’epoca circa 160 milioni) era costituita non tanto da fenomeni di “morosità” da parte delle aziende nel versare la contribuzione corrente, quanto – piuttosto – da crediti derivanti da accertamenti ispettivi o d’ufficio, fondati su irregolarità riscontrate nell’assolvimento degli obblighi di denuncia dei rapporti di lavoro (evasione contributiva).

Tali crediti, per loro natura, rimangono – in elevata percentuale – incagliati in procedure di contenzioso aventi ad oggetto la verifica dell’effettiva sussistenza e fondatezza delle fattispecie dalle quali traggono origine, il cui iter di definizione presso le competenti strutture si trascina – come avviene per la  generalità delle situazioni – per un considerevole lasso temporale, determinando una progressiva stratificazione dell’ammontare delle somme complessivamente azionate.

In tali casi, peraltro, l’Istituto – in adesione ad un principio di coerenza e logica prudenziale nell’esercizio dell’azione amministrativa di derivazione pubblicistica – insiste con le procedure esecutive nei confronti delle imprese solo dopo il definitivo accertamento della sussistenza del credito contributivo, tenuto conto che eventuali azioni intraprese medio tempore – sulla base di titoli non definitivi, ancorchè muniti di provvisoria esecutività – potrebbero determinare conseguenze irreparabili per il contribuente (insolvenza, crisi aziendale, licenziamenti collettivi, fallimento, ecc.) a fronte di crediti che, successivamente, potrebbero risultare inesistenti – e quindi non dovuti – all’esito definitivo dell’esame giudiziale di merito.

Per completezza di informazione è stato rappresentato, infine, che al 31 dicembre 2018 risultavano incardinati ben 1.895 giudizi aventi ad oggetto il recupero di crediti contributivi, dei quali:

 

  • 642 in fase monitoria;
  • 277 in fase esecutiva e prefallimentare;
  • 561 in fase di opposizione nei vari gradi di giudizio;
  • 326 in fase fallimentare;
  •   89 in fase concorsuale diversa dal fallimento.

 

Tali numeri testimoniano il livello di attenzione e vigilanza con i quali l’INPGI presiede alle attività di recupero dei propri crediti contributivi, nell’ambito di un più generale impegno nel rafforzare gli strumenti di individuazione e repressione delle irregolarità e nell’attuare politiche di gestione del recupero contributivo volte a tutelare nel migliore dei modi gli interessi patrimoniali dell’Ente.

E’ evidente, quindi, che l’Istituto pone in essere una attenta politica di recupero del proprio credito mediante le adeguate procedure di riscossione coattiva previste dall’ordinamento.

Sulla scorta delle argomentazioni illustrate, pertanto, le osservazioni e i richiami formulati dalla Corte sono stati ritenuti non pienamente aderenti alla realtà sostanziale dei fenomeni esaminati.

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