PRESENTATO IL RAPPORTO DI “ITINERARI PREVIDENZIALI” SUI BILANCI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE / NEL 2019 AUMENTATA LA SPESA PENSIONISTICA DI 4,6 MLD

La spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni è stata nel 2019 di 230,259 miliardi contro i 225,59 del 2018 (+4,66 miliardi). Tenuto conto di entrate contributive pari a 209,4 miliardi (+2,29%), il saldo negativo tra entrate e uscite si è attestato a 20,86 miliardi, riportandosi sui livelli del 2012 ma ancora più elevato della media registrata negli anni Dieci del 2000.

È quanto emerge dall’VIII Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentato in conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Una sintesi degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge un’importante opera di riclassificazione della spesa (con ripartizione tra previdenza e assistenza), utile sia a tracciare un bilancio del 2019 sia a effettuare previsioni sulla sostenibilità del welfare italiano, ancor di più alla luce della crisi sanitaria ed economica provocata da COVID-19.

Se, anche in virtù delle circa 150mila cancellazioni di prestazioni in pagamento dal 1980 o addirittura antecedenti, che hanno mitigato l’incremento del numero di pensionati in buona parte imputabile a Quota 100 e altre misure di pensionamento anticipato, la spesa per pensioni non desta eccessive preoccupazioni, è ancora una volta la spesa per assistenza a confermarsi il punto debole del nostro welfare state. Nel 2019, l’insieme delle sole prestazioni assistenziali (per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) ha toccato quota 4.177.011, quasi 56mila prestazioni in più rispetto al 2018, per un costo complessivo di 22,835 miliardi, importo in costante aumento negli ultimi 8 anni. E benché le altre prestazioni assistenziali (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e importo aggiuntivo) si riducano, i beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite sono, senza considerare le quattordicesime mensilità, 8.137.540 e, al netto delle duplicazioni relative ai soggetti contemporaneamente percettori di pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, 7.728.678, vale a dire il 48,2% dei pensionati totali.

La spesa sociale italiana, trascinata da un’assistenza fuori controllo, è elevata e cresce a ritmi difficilmente sostenibili in futuro. Nel dettaglio, i trasferimenti a carico della fiscalità sono passati dai 73 miliardi del 2008 agli attuali 114,27 con un incremento strutturale di oltre 41 miliardi e un tasso di crescita annuo superiore al 4%, superiore all’inflazione, al PIL e addirittura di ben 3 volte all’incremento della spesa per pensioni, impropriamente additata come la causa di tutti i mali.

Nel 2019 il sistema di protezione sociale italiano è costato per previdenza, sanità e assistenza 488,336 miliardi, vale a dire il 56,08% dell’intera spesa statale: una percentuale che, nonostante il debito molto elevato, colloca il Paese ai vertici delle classifiche europee e mondiali. Se, per quanto riguarda pensioni, Inail e prestazioni temporanee, con un saldo entrate/uscite positivo – al netto dell’IRPEF che grava su queste prestazioni – di 13,7 miliardi, si può parlare di un sistema in equilibrio e in grado di “autosostenersi”, lo stesso non può dirsi per spesa sanitaria (intorno ai 115 miliardi) e assistenziale (circa 114 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono attingere necessariamente alla fiscalità generale. In particolare, a partire dai dati indicati nel DEF e nell’indagine annuale di Itinerari Previdenziali sulle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF, l’Ottavo Rapporto stima che nel 2019 per finanziare il welfare state siano occorsi quasi tutti i 248,68 miliardi di entrate dirette (IRPEF, IRES, IRAP, ISOS) con un saldo attivo di 18,96 miliardi, insufficiente se solo si considerasse la spesa pensionistica al lordo dell’IRPEF. «Poco resta per ricerca e sviluppo se già per sostenere il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture, etc), non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto la strada del debito, ha commentato il Prof. Brambilla, non senza sollevare il grave problema dell’effettiva equità e della sostenibilità del sistema, tenuto conto del fatto che il 57,72% degli italiani versa al netto del bonus Renzi solo l’8,98% di tutta l’IRPEF, vale a dire appena 15,4 miliardi, risultando sostanzialmente a carico di qualcun altro, e peraltro non certo oppresso dalle tasse».

Nel tracciare le proprie previsioni di breve e medio termine, l’Ottavo Rapporto prende infine in esame gli effetti del nuovo coronavirus, inseritosi in un quadro già debole per l’economia italiana. «Purtroppo anche per quanto riguarda le pensioni in senso stretto – ha spiegato ancora il Prof. Brambilla nel corso della conferenza stampa – le buone notizie finiscono qui, perché è molto probabile che il mix di anticipi pensionistici introdotto dalla Legge di Bilancio per il 2019, sgravi contributivi e crisi pandemica abbia prodotto già per l’anno appena concluso risultati negativi, che perdureranno almeno fino al 2023». Per effetto di COVID-19 che incentiverà la propensione al pensionamento anticipato degli italiani, i quali potrebbero cioè finire col ricorrere a Quota 100 e provvedimenti correlati come a una sorta di ammortizzatore sociale (meglio una rendita “decurtata” che nessuna rendita), il documento stima che nel 2020 il numero di pensionati possa aumentare di circa 100mila unità e crescere anche nei mesi successivi, deteriorando per qualche anno il rapporto attivi/pensionati. Allo stesso modo, mentre le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali, la spesa pensionistica sconterà l’incremento dovuto alla pandemia, toccando livelli persino superiori a quelli della crisi del 2008: per il disavanzo INPS, al netto dei trasferimenti del bilancio dello Stato, l’ipotesi per il biennio 2020-2021 è un aumento fino a 33 miliardi, per poi rientrare su livelli più fisiologici a partire dal 2023.

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